Il professor Marty Nemko, consulente educativo (un nuovo mestiere della pedagogia), è l’autore di una proposta, presentata in un articolo del Washington Post, che farà certamente discutere: eliminare dalle scuole dell’obbligo la geometria e sostituirla con materie più aderenti al mondo del lavoro, come finanza e imprenditoria.
Non è il primo che si scaglia contro l’attuale range di materie delle scuole medie e superiori. Anche nella vita quotidiana si sente spesso inveire, da studenti principalmente, ma anche da genitori e semplici commentatori, contro ad esempio il latino sia considerato materia “inutile” (e in effetti è una lingua morta) o – appunto – la geometria, malgiudicata a causa delle eccessive astrazioni a cui costringe chi si approccia o la studia.
Marty Nemko scrive e si chiede: “Pitagora, Talete, Euriclide, la trigonometria, sono ormai teoremi astratti e non servono a niente di preciso. Vuoi mettere con management, personal finance, risoluzione dei conflitti? Roba utile, immediatamente indispensabile”.
Allo stesso modo, è impossibile obiettare sul fatto che l’attuale ‘palinsesto’ scolastico difetti di materie un po’ più pratiche, che introducano gli studenti al mondo del lavoro (soprattutto gli studenti che non intendono iscriversi all’università). Anzi, alcuni opinionisti, spesso gli stessi docenti considerano avulsi dalle professioni persino i piani di studio dei corsi di laurea (soprattutto quelli a indirizzo umanistico).
Quello che suona strano, o comunque allarmante, è che per fare spazio alle materie cosiddette ‘pratiche’ sia necessario mettere da parte le materie ‘astratte’ che per quanto lontane dal mondo lavorativo, sono essenziali per formare le menti dei ragazzi, per educarle alla speculazione, alla logica, al pensiero laterale. E’ della stessa opinione Marino Niola, antropologo di fama nazionale, che ha dichiarato: “Così una giusta esigenza di collegamento tra mondo della scuola e quello del lavoro finisce per produrre un effetto perverso. Quello di considerare l’astrazione logica e l’esercizio del pensiero come un lusso per pochi. Questo utilitarismo aziendalista è responsabile del disastro formativo della scuola e dell’università”.
Per fortuna, la filosofia di Nemko non ha riscontrato pareri granché favorevoli tra i lettori del Washington Post. La speranza è che anche i policy maker abbiano la stessa reazione.
Ricordiamo in chiusura che la classica frase “con la cultura non si mangia” in Italia viene parzialmente smentita visto che il settore frutta la Paese il 5% del Pil della ricchezza prodotta e dà lavoro ad un milione e mezzo di persone.
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